Educare all’affettività

Perché l’educazione all’affettività?

  • Perché se una bambina picchia è un “maschiaccio”? E se un bambino piange è una “femminuccia”?
  • Perché le ragazze possono camminare mano nella mano e i ragazzi no?
  • Perché si studia Gabriele D’Annunzio e non Sibilla Aleramo?
  • Perché se mamma non lavora è accettabile ma se non lavora papà è una vergogna?
  • Perché se ho dei chili in più tutti mi prendono in giro?
  • Perché se le ragazze pubblicano sui social una foto in costume da bagno sono delle troie e i ragazzi invece sono dei fighi?

Sono solo alcuni dei “perché” a cui l’educazione all’affettività nelle scuole potrebbe provare a rispondere. Quello che vorremmo è un diritto sancito nella Convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia, che propone tra gli strumenti di prevenzione alla violenza maschile sulle donne: l’introduzione dell’educazione all’affettività negli ordinamenti scolastici. Il III capitolo della Convenzione infatti si esprime in maniera chiara nel merito delle politiche di prevenzione da adottare e l’art.14, comma 1, si occupa di definire sul piano dell’istruzione le attività dei governi rispetto agli atti di violenza che rientrano nel campo della Convenzione: “Le Parti intraprendono, se del caso, le azioni necessarie per includere nei programmi scolastici di ogni ordine e grado dei materiali didattici su temi quali la parità tra i sessi, i ruoli di genere non stereotipati, il reciproco rispetto, la soluzione non violenta dei conflitti nei rapporti interpersonali, la violenza contro le donne basata sul genere e il diritto all’integrità personale, appropriati al livello cognitivo degli allievi”.

E’ chiaro come, secondo questa interpretazione, accanto alla formazione didattica, ci debba essere anche la necessità di promuovere percorsi tesi a stimolare nelle ragazze e nei ragazzi la capacità di riflettere e ragionare sull’emotività, sui sentimenti, sull’affettività attraverso una formazione che si misuri criticamente con la complessa sfera dei sentimenti e con l’obiettivo di fornire alle giovani e ai giovani gli strumenti necessari a gestire i conflitti di domani, i fallimenti, i rifiuti.

In Europa è una realtà, in Italia siamo ancora in ritardo. Benché esistano esempi di autonomi progetti scolastici sul tema, non esiste una legge organica che ne strutturi il funzionamento nazionale.

La violenza maschile sulle donne, l’omofobia, il bullismo, il cyber bullismo e gli stereotipi di genere si combattono con l’educazione e la formazione sin da piccoli.

Perché a scuola?

Nessuno pensa ovviamente con l’educazione all’affettività di strappare alle famiglie l’educazione dei figli, ma non si deve commettere l’errore di pensare che tutte le figlie e tutti i figli di questo Paese vivano le stesse situazioni ambientali. Anzi l’esperienza e l’osservazione ci raccontano come la violenza spesso si nasconda proprio tra le mura domestiche. La scuola invece è lo spazio istituzionale dove loro trascorrono gran parte della giornata ed è il luogo dove creano il loro primo modello di comunità. Per questo la scuola deve offrire strumenti di lettura dei processi storici, culturali e sociali, per creare una futura cittadinanza consapevole, solidale e aperta alle differenze. La strada è quella del dialogo e della partecipazione. Nelle scuole serve un momento in cui si possa discutere direttamente di emotività, relazioni, discriminazioni di genere o religiose e tutte le cause della violenza, inclusi il cyberbullismo e l’omofobia coinvolgendo le famiglie. In tutti gli Stati, ad eccezione di Italia e Grecia, esiste una forma di educazione all’affettività, ovvero uno spazio in cui è possibile confrontarsi sulle relazioni, sulle differenze di genere, sulla risoluzione dei conflitti. Non si tratta di ideologia ma di un dato di realtà.

L’Italia non ha mai istituito, nonostante le varie proposte di legge depositate negli anni, l’ora di educazione sessuale, e oggi da sola non servirebbe più. L’educazione all’affettività è, infatti, qualcosa di più rispetto a quella sessuale – già presente oltre che in Olanda, anche in Francia, Germania, Svezia e in altri Paesi – perché non si limita alla corporeità dei rapporti, ma approfondisce la formazione delle relazioni, il contesto storico sociale degli stereotipi e gli strumenti che li determinano. Le ragazze e i ragazzi costretti a confrontarsi – in maniera diretta o indiretta – con casi di violenza e di bullismo o, peggio, di femminicidio, manifestano sempre di più il bisogno di capire. Non è difficile incrociarli su forum e social network, alla ricerca di risposte a domande che, per paura o pudore, non riescono o forse purtroppo non possono fare ai propri genitori. Si può e si deve prevenire, e per fare questo bisogna partire dalla scuola.

 Perché tutti i cicli scolastici?

L’affettività ricopre una parte consistente nello sviluppo della persona, e questo dato è presente in tutte le fasi della crescita. Conoscere le proprie emozioni, comprenderle e saperne parlare consente di ottimizzare le proprie risorse, consente un aumento delle capacità di comunicare e porta anche ad un potenziamento dell’apprendimento cognitivo. Rompere gli stereotipi è possibile se si alimentano sentimenti di parità, rispetto, accoglienza, riconoscenza, condivisione.

È fondamentale introdurre l’insegnamento dell’educazione all’affettività dalla scuola dell’infanzia fino al secondo ciclo dell’istruzione. Un percorso di accompagnamento nelle diverse fasi della formazione dai 3 ai 18 anni.

  • Sull’infanzia c’è una ricchissima letteratura sul tema degli stereotipi e della responsabilità sociale del radicarsi di questi stereotipi. Le bambine e i bambini sono delle spugne e già a partire dai primi giochi c’è un immaginario che tende a dividerli in principesse e super eroi. Non c’è niente di male naturalmente a sognare in rosa e in azzurro il punto è non proporle come uniche categorie di sogno. Dare la possibilità a tutte e a tutti di avere accesso a fantasie diverse senza necessariamente dividerle e identificarle come appartenenti a maschi e femmine.
  • Negli ultimi anni la società pedagogica italiana si è concentrata molto nella fascia di età dai 10 ai 14 anni, quella che ormai viene definita pre adolescenza, perché tanti studi stanno rilevando la delicatezza emotiva di questa fase di crescita. Il preadolescente è poco più di un bambino ma comincia ad avere le prime pulsioni, le prime curiosità, le prime ansie e preoccupazioni. È a questa età, peraltro, che si iniziano ad utilizzare i primi smart phone e primi supporti tecnologici. Quindi diventa fondamentale stargli vicino in questo passaggio così ibrida della loro esistenza.
  • L’adolescenza sembra essere da sempre considerata la fase più problematica della crescita. E probabilmente è davvero il periodo più complesso con cui fare i conti. Si cerca un’autonomia ancora impossibile e ci si proietta con desiderio verso l’età adulta senza ancora avere gli strumenti di consapevolezza per farlo. L’aspetto sessuale ed emotivo gioca ruolo centrale nella esistenza delle adolescente e degli adolescenti e lasciarli ad una dimensione da “autodidatta” o addirittura in mano al web è quanto di più dannoso una società possa fare.

Perché i libri e il corpo docente?

Parte essenziale di questo insegnamento è la valorizzazione del fondamentale contributo che le donne hanno dato alla civilizzazione delle società, all’avanzamento del diritto e dei diritti, al miglioramento delle condizioni di vita della società. Fornire un altro modo di guardare alle donne è il primo passo per rompere gli stereotipi negativi. Prevedere che siano adottati libri di testo che rispettino le indicazioni contenute nel codice di autoregolamentazione Polite (Pari opportunità nei libri di testo) redatto con il contributo della Commissione europea e del Governo italiano e ovviamente la formazione e un continuo aggiornamento per tutto il corpo docente. Nei libri di testo notiamo ancora purtroppo odiosi stereotipi di genere e assenze importanti regale alle personalità femminili che si sono distinte nei vari ambiti di studio: scrittrici, filosofe, scienziate.

I libri e tutti i supporti correlati alla didattica e all’insegnamento dell’educazione all’affettività non servono se non c’è da parte del corpo docente il giusto approccio e accompagnamento al percorso. C’è bisogno di una grande formazione e di ciclici corsi di aggiornamento. La cultura dominante continua ad essere quella che mette le donne in una condizione di inferiorità e nessuno purtroppo è immune da questo pregiudizio consapevole e inconsapevole. È una crescita da fare insieme che coinvolge dirigenti scolastici, insegnanti, genitori e studenti.

Perché Una Nessuna Centomila?

Moltissimi sono in tutte le scuole italiane i laboratori di educazione sessuale, sentimentale, di genere, all’affettività o alle differenze organizzati da singoli insegnanti in tutta Italia, spesso in collaborazione con associazioni che si occupano da anni del tema (come l’associazione SCOSSE). Ma è giusto lasciare alla sensibilità di singoli docenti o dirigenti scolastici una questione così importante? Non serve piuttosto un piano strutturato e che questi progetti vengano sistematizzati e resi organici e trasversali ai programmi di studio? Non è giusto assicurare a tutte e a tutti la possibilità di avere dei punti di riferimento all’interno della scuola? Perché in Italia anche su questo dobbiamo avere scuole di seria A e scuole di seri B? Per questo continuiamo a credere che ci sia bisogno di una proposta di legge organica e strutturata che copra tutto il territorio nazionale ma nell’attesa che le istituzioni abbraccino realmente questo percorso di prevenzione alla violenza noi vorremmo come Fondazione Una Nessuna Centomila sostenere i progetti che già in Italia operano dentro gli istituti scolastici e incentivare il diffondere di questi progetti laddove purtroppo si registrano delle difficoltà strutturali maggiori. C’è come al solito uno sbilanciamento forte tra nord e sud ed è inconcepibile che sulla pelle delle nostre figlie e dei nostri figli si continui a consumare questa ingiustizia.