L’adolescenza

È da sempre considerata la fase più complicata. È il momento di maggior rivendicazione di libertà e di autonomia da parte delle ragazze e dei ragazzi.

Sia da un punto di vista di movimento. Si sente il bisogno di staccarsi dall’accompagnamento genitoriale. Si ricerca l’autonomia del viaggio. Che sia semplicemente quello che da casa porta a scuola o che sia la prima esperienza con gli amici in un’altra città. Sia da un punto di vista emotivo. È la ricerca di sé senza interferenze da parte della famiglia.

Anzi il conflitto è parte essenziale dell’esigenza di rafforzamento della personalità. Si ha quasi bisogno di allontanarsi per affermarsi. Sbalzi di umore, euforia e tristezza sono sentimenti che cambiano e si intervallano in continuazione. Il corpo è cambiato, l’attenzione sessuale cresce. Ed è in questa fascia d’età che si registrano i primi rapporti.

Il desiderio di indipendenza e di distacco dal nucleo familiare in alcuni casi può determinare il fatto di non rivolgersi più ai punti di rifermento fino a quel momento riconosciuti e di cercare molte risposte alle proprie domande di cambiamento, soprattutto quello di ordine ormonale, o ai coetanei amici o agli estranei in rete. Questo vale naturalmente anche per chi non ha mai avuto in contesto familiare la possibilità o la libertà di affrontare la dimensione sessuale (è ancora un tabù in molte famiglie rapportarsi con i propri figli e le proprie figlie sul tema della sessualità).

Per non parlare dei contesti domestici violenti in cui tanti ragazzi si trovano a vivere (e a cui dedicheremo uno spazio ad hoc rivolto a tutte le fasce d’età). Dentro questo spaesamento la scuola gioca un ruolo fondamentale perché va a supporto dei ragazzi ma anche delle famiglie. Diventa portatrice di un sapere autorevole che può rispondere alle tante curiosità e preoccupazioni dei ragazzi e fare da supporto alle famiglie che devono accompagnarli in questo percorso di maturazione.

È durante l’adolescenza che va affrontato il tema del consenso, della contraccezione, dei rischi delle malattie sessualmente trasmissibili, delle preoccupazioni e delle aspettative legate all’atto sessuale. Sul web non si ricerca solo la verbalizzazione ad alcune domande, ma si cerca la visione pratica, tecnica dell’atto. La ricerca di pornografia per tante e tanti non è legato ad un’esigenza di eccitazione sessuale, ma è la possibilità di vedere con i propri occhi quello che succederà e quello che ci sarà da fare.

L’elemento emulativo del porno è fortissimo. E purtroppo la pornografia che storicamente ha sempre avuto uno sguardo prevalentemente maschile sul desiderio e la soddisfazione sessuale oggi più che mai riporta una sessualità bestiale, aggressiva, in cui le donne appaiono troppo spesso sottomesse se non addirittura stuprate. Questo porta con sé numerosi guasti. Sia al maschile sia al femminile. I ragazzi non si sentono all’altezza di quella performance, probabilmente neanche a loro agio in quella dimensione di sopraffazione, eppure se è quello lo standard a cui riferirsi, o ci si adegua o ci si chiude a una frustrazione che si ripercuote anche nei rapporti interpersonali. Nell’adeguamento al modello violento, prodotto o indotto, va individuata una ragazza su cui praticarlo.

La cronaca è piena di azioni sessuali violente, di stupri – anche di gruppo – che hanno anche una componente performativa da far conoscere all’esterno. Non a caso il web e i cellulari sono pieni di video che testimoniano che l’atto è avvenuto. Lo chiamiamo revenge porn ma in realtà ha molte sottocategorie. Le ragazze vittime di questo sistema si approcciano in modi diversi. O ne hanno paura, e questo preclude loro la possibilità di vivere quella pulsione sessuale, o decidono di farlo senza grande consapevolezza.

Al desiderio, infatti, spesso non corrisponde un elemento di soddisfazione sessuale. Non coltivano alcun piacere dall’atto. Lo subiscono pensando che così dev’essere o peggio ancora lo subiscono con dolore fino a quando non ne possono più. Accanto a questa esplorazione distorta naturalmente c’è anche la violenza, lo stupro. Può partire da quella che viene considerata una relazione amorosa per sfociare in una dimensione costante di violenza. Agita e spesso documentata. Perché si entra e non si riesce a uscire da questo meccanismo di sopraffazione.

È il motivo dell’intervento educativo che ha l’ambizione di prevenire questa condizione.

Sia nei confronti di chi agisce la violenza sia rispetto a chi la subisce. Le ragazze in questa età sono soggette alle prime accuse sui loro comportamenti che porteranno come conseguenza alla violenza. È la prima vittimizzazione concreta a cui sembrerebbe si dovranno abituare nel corso del tempo. Sia chiaro, i tentativi avvengono anche con le bambine: l’accusa di adultizzazione e quindi di oggetto sessuale, colpisce anche i loro corpicini. Ma le adolescenti, anche se minori, portano a pieno titolo lo stigma dell’aver provocato o scatenato quell’azione violenta, o quello stupro.

“Sono in video, ergo esisto”. Sembra essere questo il principio con cui si muove la stragrande maggioranza degli adolescenti in Italia ma – potremmo dire – in tutti i Paesi digitalizzati del mondo. Non c’è passaggio della propria vita che non venga documentato, o meglio non c’è momento della propria vita in cui non ci si preoccupi di testimoniare la propria esistenza attraverso un video da postare in rete.

Se questo vale per quello che indossi, per quello che mangi, per quello che ascolti e che balli, può valere anche per quello che fai in termini sessuali. Il virtuale e il reale si confondono. Il corpo sembra non avere peso. La videocamera di un telefonino non sembra essere una minaccia, ma è solo uno strumento di affermazione dell’esistenza da una parte e di compiacimento dall’altra. Riuscire a replicare quello che sta in rete ti rende parte di una comunità, piccola o grande che sia. Ma se per i ragazzi questo sembra non avere conseguenza, sulle ragazze invece è devastante. Scoprire il proprio corpo per le adolescenti fa parte di un’esigenza, consapevole e inconsapevole, di esibizionismo necessario per piacere e affermare il “passaggio” all’essere donne e non più bambine.

Da qui, book fotografici infiniti in pose sexy con cambi di outfit continui, foto individuali e di gruppo. Sia chiaro: non c’è nulla di male in questo, ma purtroppo le foto pubblicate in rete sono a disposizione di tutti e questo può comportare che le ragazze vengano prese di mira da uomini molto più grandi di loro o bullizzate dai loro coetanei.  Ancora più pericoloso per le ragazze è il momento in cui accettano di essere riprese durante un atto sessuale. La diffusione di questo materiale genera una spirale d’odio senza fine.

Il giudizio nei confronti di una ragazza che fa sesso con un altro ragazzo è spietato, scatena gli istinti più bassi del web. Oggi tutto questo ha un nome: revenge porn. Ma questa definizione non è sufficiente a comprendere il livello di persecuzione e demolizione psicologica che viene attuata nei confronti della vittima di turno. Il quadro è preoccupante e, se possibile, durante la pandemia è drammaticamente peggiorato. L’uso dei social media tra gli adolescenti si è raddoppiato.

La costrizione dentro casa, l’utilizzo del web, anche per impegni importanti come la scuola, ha determinato un ulteriore scollamento dalla realtà e un’esasperazione maggiore di alienazione dai rapporti umani.

  • Formazione del corpo docente
  • Lezioni di educazione sessuale
  • Laboratori artistici (musica, scrittura, disegno, teatro, danza)
  • Consigli alla lettura (bibliografia di riferimento)
  • Visione di serie tv e film (elenco di riferimento)
  • Corsi di consapevolezza sull’uso del web
  • Incontri con le famiglie
  • Supporto psicologico
  • Collaborazione con i Centri Antiviolenza
  • Restituzione attraverso un prodotto artistico del percorso fatto nei laboratori